Quando
nasce un quadro
"...adesso
sono solo nello studio silenzioso con queste grandi tele appoggiate
alle pareti; le guardo dapprima con un certo smarrimento,
poi quasi le accarezzo: vorrei che fossero loro a guidarmi
la mano, a suggerirmi cosa devo dipingervi sopra.
Non
so bene perché abbia voluto ripristinare una pratica abbandonata
da tempo: preparare io stesso le mie tele.
Chissà, forse mi piaceva rivisitare l'origine artigiana del
lavoro del pittore.
Adesso guardo la tela che ho messo sul cavalletto come volessi
già intravedere l'immagine che vi prenderà forma... ho già
in testa il titolo che vorrei dare a questo quadro: "La
luce del mattino".
Il
pensiero corre lontano, a quando guardavo, allorché il sole
si leva, illuminarsi la collina davanti alla mia casa di Carpineta.
Restavo incantato a spiare quel lento e magico processo di
trasformazione delle forme che vanno prendendo preciso risalto
nella luce.
Quante volte ho pensato che lo spettacolo a cui assistevo
si ripeteva da sempre; che un'infinità di persone tanto tempo
prima di me aveva visto la stessa scena che mi incantava;
certamente con disposizioni culturali e sentimentali diverse
dalle mie; ma in tutti i casi, partecipando allo stesso evento
che incantava i miei occhi: la luce che illuminava la collina
valeva per me e per loro.
E forse c'era anche lo stesso incanto. Vorrei proprio che
fosse "La luce del mattino" il primo dei quadri che sto per
incominciare. Per mettere l'accento sulle esperienze costanti;
per tornare a considerare ciò che non muta, che per sua natura
non può mutare.
Può
apparire singolare che un pittore che da sempre ha creduto
di dover inseguire ciò che modifica il modo di essere dell'uomo,
che sempre ha cercato, anche a costo di frugare nella cronaca,
i segni del nostro cambiamento,
si proponga una riflessione che sembra di segno opposto.
Che
voglia rivolgere la sua attenzione a un tempo più dilatato
dove si sfumano le differenze e prendono invece risalto le
somiglianze.
E
non penso soltanto alla "luce del mattino", ma anche al volto
degli uomini, alla gioia, al sorriso, alla paura; alla voglia
di correre, di non essere soli e a tante altre cose ancora.
Non credo quindi, come potrebbe forse sembrare, che
questo distogliere lo sguardo dal contingente per riappropriarsi
di un tempo più denso e profondo
sia il
segno del disimpegno o della delusione.
E
soprattutto la voglia di non morire tutti i giorni insieme
alle cose che durano un giorno".
Alberto
Sughi
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