La pittura è un destino, diceva Matisse. Non che lo sia per tutti, ma per Liliana Radicevic lo è.

"Tu hai più il senso del colore che della forma" le dicevano i professori dell'Accademia di Belle Arti di Belgrado, alla quale era stata ammessa dopo una prova pittorica giudicata sorprendente. Ma, dotata di un temperamento scalpitante, nonché d'una acuta coscienza di sé, la giovanissima aspirante artista rispondeva loro: "No, io voglio fare la scultrice".
Fatto sta che, anziché la forma, la tridimesionalita, il volume aveva abbandonato i suoi maestri, trasferendosi grazie a una borsa di studio, invece che all'Accademie des Beaux- Arts di Parigi, all'Accademia di Belle Arti a Roma, dove si era iscritta al corso di scultura.
Aveva poco più di vent'anni, era bella, esuberante, oltre che convinta di ciò che faceva.
Nella capitale italiana Liliana Radicevic aveva avuto la fortuna di incontrare un maestro d'eccezione: Pericle Fazzini, l'ex intagliatore di Grottammare che Arturo Martini aveva salutato come "il poeta della scultura", l'artista che trasmutava il legno grezzo in sculture aeree, volanti, come il Ragazzo coi gabbiani, che aveva destato scalpore.
Da lui l'allieva che proveniva da Bjelorav, il paesino della Slovenia, alla ricerca di se stessa e dei segreti della creazione artistica, aveva appreso una lezione inestimabile: la leggerezza, la "divima leggerezza" che incantava Nietzche, Rilke e Savinio.
Era toccata dalla grazia la giovane mano che tracciava sul foglio bianco e poi realizzava in bronzo vertiginose silhouette, acrobatiche figure femminili circolari.
Le sue sculture erano ammirevoli per invenzione formale, eleganza, equilibrio: quel miracoloso equilibrio di cui, secondo l'autrice, è porta- trice la donna.
Per lei non è Atlante che sorregge il mondo, ma la Donna, come suggerisce appunto in Equilibrio, i due pannelli che aprono la mostra. Senonché Liliana Radicevic recava dentro di sé un nodo irrisolto il dubbio se la sua vera vocazione non fosse, come le avevano detto i maestri di Belgrado, la pittura piuttosto che la scultura, o la scultura e la pittura congiuntamente.
Cosi il destino l'ha riportata alla pittura, il suo primo amore negato. Grazie alla felice congiunzione di un talento innato e di una sapienza stilistica attinta non si sa da dove e da chi, ha dato vita ad una serie di tele che colpiscono non solo per il colore, ma ancor di più per la luce che spigionano, come Porta cruenta e Il sole fra gli archi, i due dipinti che evocano il Kosovo, uno dei centri storici della religiosità ortodossa, durante e dopo la guerra nei Balcani; la Scala sull'acqua e Il fiume verticale, che rappresentano il flusso eracliteo della vita, della vita che rinasce dalla catastrofe, della vita che scorre con ritmo incessante, finché non ci ritroviamo tutti ombre; le struggenti tele dedicate alla città lagunare, come Venezia sotto la pioggia, nella quale il mare si confonde con il cielo e i ponti, le chiese, i palazzi sfumano entro un alone evanescente, alla stregua d'un miraggio; L'uccello del Paradiso, nel quale il mitico uccello ghermisce la donna per condurla in una sfera superiore, nel regno della bellezza e dell'eros.

Ma come pittrice, memore della lezione appresa da Fazzini, Liliana Radicevic è andata oltre, oltre ogni realtà: si è trasmutata essa stessa in un gabbiano, in un uccello migratore che trasvola sui paesaggi della sua terra, sui fiumi e i mari, i ponti di Novi Sad distrutti dalle "bombe intelligenti", sul Danubio, sul Canai Grande, sul "mare che bagna Napoli", sul Tevere.
È diventata una stella vagante sul panorama cangiante dell'arte odierna. Munita di èlitre ipersensibili, d'una sorta di occhio trascendentale, Liliana lavora di getto, secondo la tecnica del'action painting e del dripping, trasformando tutto ciò che osserva in visione fantastica, surreale, metafisica, che poi traduce in una gamma di colori inediti, dai bianchi ai grigi ai neri nelle loro più sottili variazioni e gradazioni, come in Visione partenopea.
Esemplari al riguardo i suoi dipinti su tela di sacco. Anche qui è intervenuta la memoria, conscia o inconscia, della lezione ricevuta da Fazzini, l'artista "povero" ante litteram, come Alberto Burri, l'altro artista "povero" che lei ama d'un amore particolare.
I teorici fanno risalire l'"arte povera" alla seconda metà degli anni Sessanta, ma essa aveva già trovato esempi illuminanti nell'opera dello scultore marchigiano e più ancora del pittore umbro, che trasvalutava in eventi artistici le materie più neglette, avendo forse a mente il saio francescano, la radicale povertà del santo di Assisi.

Equilibrio 1



Autostrada

Fiume verticale