DI
NATURA IN PITTURA
Nei
paesi tropicali chiamano genericamente «flamboyant» (fiammeggiante)
ogni pianta a vistosi fiori rossi.
Tra
gli ultimi esemplari dipinti da Ada Mazzei c'è un fiore marocchino,
dal nome imprecisato, il cui colore sprigiona ancora il calore
delle terre del Sud, l'afrore intenso della vegetazione mista
alle spezie, la luce abbacinante della lunga insolazione,
in un'unica sinestesia percettiva, talmente attiva da stordire.
Stefan
**Sehier, uno dei più validi giovani artisti tedeschi autorespessodiintrichivegetaliilluminatidalla
presenza di fiori/ha dichiarato: «Mi piace pensare che il
quadro pulsi, sia scosso da vibrazioni interne che sitraduconoinun
coinvolgimento immediato con l'osservatore.
Il colore è ritmo, realtà strutturante; più delle compenetrazioni
cromatiche mi interessano gli antagonismi netti; la loro fisicità
ricorda che l'armonia non si realizza mai in una rasserenante
stasi, ma in una dinamica sempre al limite, che scaturisce
dall'impossibilità di tenere a freno la fantasia, l'irrazionalità,
l'impulso dionisiaco e impedisce di adagiarsi nella razionalità
inappagata del concetto»
(«Tema Celeste», 61/1997).
Rispetto
alle componenti
analitico-concettuali dell'arte attuale, questa ***eliche
Molerei (Pittura reale, autentica) - cui si può associare
anche il lavoro naturalistico di Ada Mazzei - si basa sul
fatto che l'arte si qualifica in una forma pervasa dalla Sehnsucht,
il nuovo sentimento della natura emerso nella filosofia e
nella pittura europea da Schelling in poi.
Mediando fra intenzionalità e inintenzionalità, la Wirkiiche
Molerei penetra negli strati più intimi della realtà vivente,
secondo un processo di rappresentazione rinnovato, rispetto
ai vari Realismi della storia della pittura in cui primeggiano
gli autori fiamminghi e olandesi, ma in cui c'è soprattutto
Caravaggio, il quale, come riporta il biografo Bellori, pare
abbia detto: «Uguale abilità ci vuole a fare un quadro di
fiori come di figure», rivendicando alla qualità e non al
soggetto il discrimine fra la buona e la cattiva pittura e,
di fatto, portando a maturazione ai più alti livelli il genere
della natura morta.
Una
"natura morta" così viva da attirare gli insetti veri, secondo
l'aneddotica popolare; comunque dei soggetti da studio, riprodotti
con la tecnica della camera oscura, la cui morte non deriva
tanto dallo stato di appassimento del fiore reciso e di marcescenza
del frutto staccato dal ramo, quanto dall'aver messo mentalmente
fra parentesi il legame con il mondo animato.
Solo
Monet, nella serie delle Ninfee dipinte su tele di formato
eccezionale - le Grandes Décorations eseguite a Giverny tra
il 1900 ed il 1926 - risalì il corso della pittura verso la
natura, dipingendo in una casa-studio provvista di enormi
vetrate attraverso cui poteva avere il vasto giardino a portata
d'occhio ed il contatto immediato, in ogni momento del giorno,
con le mfee che andava riproducendo, attento alle minime**
variazioni luministico-cromatiche.
Così
la pittura di Ada Mazzei riparte dal grado zero del rapporto
**a l'artista e la realtà, in un'esistenza panica in cui non
**»lo la natura è avvertita come tutta animata, ma dove l'artista
ha anche elaborato un processo d'immedesiazione con i suoi
elementi.
È
il motivo per il quale atti/ fiori/ foglie sono, colti a distanza
ravvicinata; è problema del punto di vista, che fece dire
alcuni anni a Graham Sutherland: «Talvolta quando dipingo
mi pare di essere io stesso un insetto».
Assumere
il punto vista dell'uomo significa avere un rapporto con**nzionale
con lo spazio e l'ambiente/ e non è detto che gli umani vedano
meglio; calarsi negli occhi di un insetto è la via migliore
per percepire certe scia**- date calde di colore, certi particolari
ingranditi ed **aitati, certi accostamenti di contorni in
cui la visione d'insieme si perde per privilegiare l'astrazione
delle mie (ed è questo, probabilmente, l'indirizzo della ossima
pittura della Mazzei).
**'Ipernatura
è stata definita assai felicemente da **arina Pizzarelli la
modalità espressiva dell'artista lentina, ma cambiando il
punto di vista dall'oggetto al soggetto, non si tratta forse
di uno stra**-vedere?
Le facoltà percettive sono acuite al massimo: la vegetazione
è esuberante, sontuosa, barocca.
E
da una composizione secentesca di fiori e frutta la pittrice
pare aver isolato un dettaglio, che è divenuto il protagonista
delle sue tele di grande formato.
Se
però le composizioni barocche erano illuminate dall'esterno
e colpite dalla luce manifestavano i colori, i soggetti dipinti
da Ada Mazzei sono autoluminosi come se una luce li irraggiasse
dall'interno, provocando stacchi netti con i fondi bruni.
Di
visioni iperrealistiche della natura, nate dal confronto con
i classici del naturalismo, se ne dipingeranno sempre, con
maggiore o con minor bravura.
Ma Ada Mazzei non appartiene a questa schiera, perché ha elaborato
un suo stile personale grazie al riferimento sine medio (senza
interferenze) con la realtà.
Nel panorama attuale, gli artisti che più si stanno distinguendo
su questo fronte sono il già citato Sehier (Norimberga 1958),
il newyorchese Alexis Rockam (1962, botanico, zoologo ed ecologista
del pae- saggio), gli italiani Dany Vescovi, milanese (1969,
autore di macro ingrandimenti dell'organico di piante ed animali),
Andrea Quarto, lucchese (1959, pittore di lussureggianti «vegetazioni»
dalla cromia stravolta), Guglielmo Emilio Aschieri, cremonese
(1955, i suoi polittici grandi quanto pale d'altare hanno
come soggetti i frutti e le verdure dell'orto).
Il
rapporto diretto di Ada Mazzei con la natura possiede una
rilevante componente ambientale.
Negli
spazi in cui lavora, si avverte una continuità quasi senza
soluzione fra l'esterno e l'interno: sulla veranda, l'al-
bero carico di limoni fa rotolare i frutti fin dentro casa,
le agavi carnose s'insinuano attraverso il muro di cinta,
la turgida magnolia nel vaso cambia forma con il trascorrere
delle ore.
La
pittrice medita su di una composizione elaborandola a livello
mentale, carpisce l'attimo in divenire con la macchina fotografica,
ritaglia la porzione di realtà che più collima con l'idea
originaria, disegna poi sulla tela iuta ed infine interviene
con il colore, «dando i lumi», secondo un processo antico
in cui si è inserita la tecnica ausiliaria della fotografia,
il terz'occhio per vedere meglio o per fissare l'immagine
più velocemente di uno schizzo.
Nel
«giardino della pittura» di Ada Mazzei non vi sono fiori delicati
o dai colori tenui, perché le tinte calde sono in sintonia
con il suo stato d'animo: tra i colori «il rosso mi emoziona»,
ammette, ed anche nel bianco di una calla lei evidenzia il
giallo, indotta in ciò pure dalla luce della sua terra, alla
cui luminosità meridiana ella dipinge, finché è possibile,
preferendola alla luce artificiale.
Il
benessere psico-fisico è fondamentale per la riuscita del
lavoro, perché la vita e l'arte sono in sintonia. Infatti
la rappresentazione di ciò che la pittrice vede nella natura
altro non è se non l'espressione di quello che accade in lei,
in una sorta di confessione in pubblico. In ciò si ritiene
risieda anche lo scarto fra la sua pittura e l'altrui: la
"figurazione esplicita" di Ada Mazzei, fatta dal micro che
diviene macro, dai riflessi rutilanti sulle superfici, dalla
fisicità accentuata, acuita dalla scelta di determinati colori
e dal suppor- to di tela iuta prescelto per la granatura spessa,
sono gli elementi qualificanti di un'arte che ricerca il contatto
ravvicinato con il pubblico, con sincerità disarmante.
Ada
Mazzei non falsifica le emozioni: ne le cela ne le simula.
Dopo vent'anni di silenzio artistico, quasi senza toccare
un pennello, ma evidentemente immagazzinando immagini, sensazioni,
cromie e forme, la produzione di Ada Mazzei ha dello strabiliante,
non solo per la quantità delle tele, non solo per il coraggio
di misurarsi con il grande formato, ma anche perché di colpo
ella si presenta come artista in possesso di una tecnica consolidata
e di uno stile sicuro, per mostrare la bellezza dell'esistente,
filtrandola attraverso il suo sguardo sensibile.
Il
carisma dell'artista non deriva forse dall'esser capace di
vedere ciò che non si era mai visto prima e di rendere riconoscibile
da quel momento in poi un aspetto del mondo solo perché lui
l'ha reso possibile?
Giusy
Petruzzelli Bari, agosto 1999
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