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Alessandro Kokocinski
di Claudio Strinati
Nel lavoro di Kokocinski c'è una forza evidente che tormenta
i personaggi rendendoli aggressivi e audaci.
Eppure, nello stesso tempo, la sua arte è quella di un uomo
che sente intimamente la bellezza e la molteplicità delle
cose della vita e nella pittura sembra trovare una via di
uscita per manifestare, con sincerità e spontaneità indiscutibili,
una sua particolarissima ansia di pienezza che si concretizza
in un insieme di opere tutte legate l'una all'altra, quasi
per costruire una immagine, fantastica e realistica insieme,
dello scorrere dell'esistenza che non è mai integralmente
lieta o integralmente tragica.
I presupposti del suo modo di lavorare sono semplici e evidenti.
E nato disegnatore, Kokocinski, e rimane disegnatore prima
di ogni altra cosa. Per lui il disegno è, fondamentalmente,
una manifestazione di potenza, m modo non diverso da quello
che fu per tanti antichi.
Al giorno d'oggi, certo, la situazione è molto cambiata e
non perché manchino i bravi disegnatori ma perché non c'è
più il culto esasperato del disegno che costruisce la forma,
come se questo tipo di esperienza fosse stato accantonato
dagli eventi. Ma non è così per tutti e si comprenderebbe
male l'arte di Kokocinski senza mettere in evidenza questo
particolare determinante. Il maestro non ha esordito come
pittore, è ben noto, ma piuttosto come uomo di teatro, ed
è legittimo sostenere che sia sempre presente nella sua pittura
una possibile mterpretazione anche in chiave teatrale, con
tutto ciò che questo fatto porta con sé; ma, come pittore,
Kokocinski non è un uomo di teatro, è, anzi, un pittore che
quasi esaspera gli strumenti propri della pittura.
Il contenuto sostanziale della sua arte è, infatti, la grafia
stessa con cui conduce le tele, è nell'impasto densissimo,
nella qualità della stesura lavorata e rilavorata con sovrapposizioni
e sparizioni continue, nella drammaticità delle immagini.
Anche se l'attenzione del Maestro sembra rivolta a certi contenuti
particolari, a certi eventi o certe persone, resta, poi, completamente
assorbita dalla complessità del linguaggio.
Può sembrare strano riaffermare, nel caso di Kokocinski, il
dominio della struttura formale sul contenuto dell'opera,
ma va ribadito come il Maestro sia da considerare soprattutto
come artista interessato esclusivamente alla costruzione mentale
piuttosto che alla traduzione in figura di un soggetto letterario
o filosofico.
Non è un illustratore e lavora soltanto sull'impulso e sull'urgenza
di parlare in termini visivi, tanto che non sorprende constatare
quanto la sua produzione sia, poi, limitata in termini quantitativi.
Non è, in altri termini, un artista capace di sfornare in
continuazione opere nuove, ma è, al contrario, il primo visitatore,
curioso e incantato, della sua stessa pittura e, come tale,
critico e ipercritico verso se stesso, come se il lavoro del
pittore fosse un confronto continuo tra ciò che materialmente
riesce a manifestarsi sullo spazio della tela, dopo ripensamenti
e rielaborazioni.
Ed è un lavoro arduo e faticoso in cui spesso restano evidenti
le tracce del corpo a corpo con la materia pittorica che arriva
finalmente all'opera conclusa. E'immagme, per Kokocinski,
deve essere "parlante" ma non importa, in definitiva, cosa
debba raccontare, perché non è il racconto la finalità prima
dell'artista, anche se tutti gli esperti che si sono accostati
alla sua opera hanno percepito una volontà di narrare che
ha esiti strani e misteriosi, specie sul versante della citazione
da altri che, per il nostro Maestro, diventa talvolta una
specie di maschera dietro la quale è possibile velare o svelare
segrete ansie e cupe meditazioni. Non c'è alcun rapporto tra
questo modo di lavorare di Kokocinski e il "citazionismo"
per come è stato ultimamente inteso, quale prelievo colto
e suggestivo dal patrimonio immenso del passato. In realtà
le citazioni entrano e passano nella pittura di Kokocinski
come fossero folgorazioni o lampi mentali attraverso i quali
il Maestro intravede spazi e forme che sono sempre al di là
del riferimento testuale all'opera di un grande artista del
passato; tanto che risultano sempre un po' insoddisfacenti
i riferimenti spesso proposti, nell'analisi critica del suo
lavoro, a insigni pittori come Goya o Velasquez.
E non che talvolta non si avverta veramente un'eco forte del
passato ma perché, appunto, di un'eco si tratta in cui non
è più possibile separare il richiamo verso l'antico dall'urgenza
del presente. C'è molto di autobiografico nella produzione
di Kokocinski, ma è sempre bene non identificare troppo il
prodotto artistico con le conseguenze dei fatti della vita.
A ogni nuova opera si ha l'impressione che la tela sia come
uno spazio neutro e insieme gremito di sostanza pittorica,
dove succedono cose strane in una sequenza continua, quasi
che la tela stessa, a ogni opera nuova, si svuotasse delle
presenze precedenti e, attraverso una specie di reiterata
evocazione, riportasse a galla altrettante immagini, in un
processo che non si interrompe mai. Si ha la sensazione che
in uno spazio apparentemente indecifrabile ma carico di immagini
latenti, si accendano e si spengano in successione continua
luci tenebrose che lasciano scorgere una o più figure emergenti
da un magma cromatico che prende corpo ma in modo labile.
Quando la materia si è troppo caricata l'immagine scompare
e se ne manifesta un'altra in un andirivieni incessante di
eventi impercettibili che spingono le figure sulla scena del
mondo. E questa sensazione di passaggio sul palcoscenico delle
vita è accentuata da una stesura del tutto personale e particolare
che puntualizza certi aspetti per cancellarne altri, con un
singolare equilibrio tra dignità rappresentativa e ansia di
fuga.
Anche Kokocinski pittore è sembrato a molti eminenti esegeri
un "pellegrino del mondo" come fu, tanto prima di lui, Pieter
Bruegel il vecchio.
I relitti, che talvolta si manifestano, tratti da idee figurative
del passato (come le apparizioni inquiete di De Chirico, Caravaggio,
Piazzetta), arrivano a Kokocinski senza più alcun significato
certo e il maestro non va a cercare altri significati se non
quelli sedimentati nella forma.
L'ansia del cammino fatale è visibilmente unita all'angosciante
ricordo di uomini perseguitati e scomparsi, un ricordo che
ha accompagnato tante peregrinazioni di Alessandro.
E si capisce, allora, perché la sua pittura, che non vuole
avere contenuti espliciti e immediatamente circoscrivibili,
sia, però, una pittura di personaggi, una pittura umamssima
che pretende di essere osservata con animo partecipe e con
un senso etico della realtà. Si potrebbe paragonarla a una
gigantesca polifonia, un canto a più voci in cui si percepisce
sia l'urlo sia il bisbiglio e dove tutto si manifesta con
pari forza drammatica.
Tra i tanti maestri del passato che sono stati citati per
circoscrivere meglio la figura di Kokocinski uno, forse, deve
essere ricordato parricolarmente, ed è Ribera. Non tanto perché
vi sia una assonanza stilistica, impossibile a così grande
distanza di tempo, quanto una assonanza morale che sola giustifica
tale avvicinamento.
Lo sdegno profondo e doloroso che anima gli esiti più alti
di Ribera, scrutatore solenne dell'animo umano, sembra riflettersi
nelle meditazioni figurative di Alessandro, quando una sorta
di fuoco misterioso spinge sul piano le immagini e, nel contempo,
le consuma, in una inquieta incandescenza da cui trapela evidente
proprio quella istanza etica, carica di passione, che determina
il senso ultimo dell'opera del Maestro.
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