La Girafe en feu



Le piano sous la nèige



Le cheval Picasso

Nu

L'opera grafica di Salvador Dalì

Dalì ha studiato incisione presso la facoltà di Belle Arti di Barcellona, sotto la guida del professar Juan Nunéz, docente assai conosciuto per la bontà del suo insegnamento.
Ed infatti costui subito si accorse delle doti eccezionali dell'allievo per il disegno, e pertanto si offrì di arricchirne il talento in corsi serali di insegnamento dedicati all'incisione su rame.
Tuttavia sembra che nel primo periodo della sua vita, Dalì non abbia dato molta importanza alla produzione grafica e che si sia quasi esclusivamente interessato al disegno e alla pittura. Le prime due incisioni su rame di cui ho notizia, sono pertanto delle opere collettive.
Infatti, poco tempo dopo il suo arrivo a Parigi, Dalì ebbe occasione di conoscere Picasso e una volta andato a rendergli visita nel suo studio, lo trovò intento ad incidere sul rame.
Poiché il lavoro non era stato ancora portato a fine, Picasso, in un attimo di ispirazione, gli chiese di terminare l'opera secondo il suo estro. In questo modo furono realizzate due lastre di cui tuttavia ignoro il numero degli esemplari.
Nondimeno una delle due incisioni è rimasta in un laboratorio di Montmartre ed io credo che fino adesso ancora non sia stata oggetto di nessuna tiratura a stampa.

All'inizio della sua attività nel gruppo surrealista, Dalì partecipò a numerose edizioni per le quali spesso eseguiva i frontespizi, e la più famosa e l'illustrazione del libro di Georges Hugnet «Onan», nel quale egli espresse per la prima volta il suo acuto istinto di provocazione.
In una nota apposta ai piedi del frontespizio, infatti, Dalì confessa come in effetti abbia inciso la lastra con la mano destra, mentre con la sinistra egli stesso si abbandonava ai piaceri di Onan.

Nel 1933, nel laboratorio di Picasso, Dalì conobbe Skira e Picasso stesso allora suggerì all'editore di affidargli l'illustrazione dei Chants de Maldoror.
Il libro esce nel 1934, quando Dalì ha soltanto 30 anni. È in questo periodo che egli, tanto negli oli, come nell'opera grafica, comincia ad esprimersi nella sua personalità più autentica, o più precisamente, e si può ben dirlo, con tutta la carica del suo talento. Les Chants de Maldoror sono stati illustrati con 42 incisioni su rame di cui 30 sono tavole fuori testo e 12 finalini a pie di pagina. In quest'occasione per la prima volta Dalì si scioglie nella più completa libertà d'espressione neIV'interpretare il testo.
È pure vero, d'altronde, che questo libro famoso si presta facilmente alle più diverse suggestioni del sogno, tanto che anche Leon Bloy ha potuto scrivere del libro di Ducasse che, «questa non è affatto letteratura, ma fuoco».
Alla sua apparizione, il libro illustrato non ebbe un successo entusiasmante e probabilmente a cagione del prezzo piuttosto sostenuto riferito alle quotazioni del tempo ed in pratica ne furono vendute un numero assai limitato di copie. Dalì e Skira, d altronde erano pressocchè sconosciuti dal grande pubblico e l'editore che aveva ben intuito queste condizioni di mercato, si limitò a far eseguire solo 100 copie in numeri dispari, riservandosi per il futuro la possibilità di non presentare, in un totale complessivo di 200 copie, una edizione contrassegnata da numeri pari.
Se si tiene conto del periodo di comparsa del libro, della sua particolare composizione e del testo esplosivo scritto da Lautremont, l'illustrazione dell'opera può essere giustamente ritenuta uno dei più apprezzati capolavori di Dalì, allo stesso modo di come le Metamorfosi di Ovidio restano una pietra miliare dell'opera grafica di Picasso.
Per incidere Maldoror, Dalì scelse una punta di acciaio estremamente sottile ed acuminata poiché egli ancora non conosceva la punta di diamante e quella di rubino, strumenti capaci di permettere all'artista non solo di eseguire con facilità le linee curve e sinuose del tratto, ma anche di adattarsi con maggiore duttilità alla pressione della mano.
Qualunque sia l'importanza raggiunta dall'opera di Dalì, ai nostri giorni Les Chants de Maldoror si sono consolidati come un'opera unica e fondamentale. Ed in effetti il disegno di Dalì, il suo tratto e la modulazione, riferita al periodo di edizione, si presenta assai differente dallo stile che ispirerà le opere susseguenti. In quel periodo Dalì si produceva in disegni di piccolo formato che resteranno senza ombra di dubbio i migliori di tutta la sua opera d'artista. Alcuni quadri, inoltre, erano dipinti su supporti di così piccola misura da richiedere per l'esecuzione pennelli di fattura microscopica. Questo particolare, allora, molto preoccupava Breton, poiché egli intuiva sempre più lontano il giorno in cui Dalì avrebbe affrontato tele di formato più corrente.
Dopo la guerra l'arte grafica di Dalì non ha ancora preso il suo grande slancio. Di ritomo dagli Stati Uniti pertanto si dedica soprattutto alla pittura e solo intorno al 1958 affronterà i temi della litografia con l'illustrazione del Don Chisciotte, su commissione del suo editore Joseph Foret. In quest'occasione Dalì, sempre avido delle novità, tenterà di introdurre qualche nuova tecnica nell'orizzonte dell'arte. Ed è a cagione di questo che affronta la litografia in modo del tutto spettacolare, usando gli impatti di colore ottenuti con un colpo di archibugio. Utilizzando le figurazioni fornite da questo singolare mezzo di espressione, ossia attraverso una «alcatorietà aggettiva», egli prende a costruire intorno all'impatto originario delle rappresentazioni ispirate alla semplice alcatorietà. Dalì userà ancora la tecnica dell'impatto solo per due o tré litografìe della serie I Cavalieri dell'Apocalisse, ma ben presto abbandonerà l'esperimento probabilmente dopo aver considerato che da esso non era riuscito a ricavarne in pieno l'effetto desiderato.
Trascorso quest'intervallo, egli riprenderà ad incidere sul rame senza più abbandonarne l'uso. E le litografie che verranno fuori un po' alla volta firmate a suo nome, spesso saranno ricavate solo da acquarelli e quindi non possono essere considerate, salvo l'interesse particolare che ciascuna può contenere, opere effettivamente originali.
Pertanto bisogna attendere la pubblicazione di un catalogo ragionato sulla opera grafica di Dalì per stabilire con esattezza l'intervento specifico dell'artista in ogni serie di opere, e ciascuna classificata nell'ambito dell'epoca di edizione.
Tuttavia, dal 1960 in poi, l'opera grafica di Dalì sarà piuttosto abbondante. Egli illustrerà con alterno successo i più celebri testi della letteratura e della Fede. L'Apocalisse di San Giovanni e la Mitologia sono le opere più conosciute ed apprezzate. I Poemi di Ronsard e di Apollinaire, la serie sugli Hippy e la Tauromachia surrealista, quindi, non danno altro che una pallida idea della considerevole produzione dell'artista nello scorcio di questi ultimi venti anni.
Ora mi sia soltanto permesso di rimpiangere come questo artista meraviglioso qualche volta abbia ceduto alla facilità, e nell'ambito di un'esistenza per certi versi sofferta ed appassionata e, per altri affaticata da ogni genere di impegno, letterario o scientìfico, non abbia saputo limitare la sua produzione e conservare per lui, negandole alla pubblicazione, le opere meno sentite nell'ispirazione.
La tecnica usata da Dalì in tempi più recenti si avvale dell'impegno simultaneo di punte di acciaio, di diamante e di rubino. In pratica la punta di diamante costruisce la parte essenziale del disegno mentre quella di rubino consente di realizzare con più duttilità dettagli ed ombre di delicatissima fattura. Quanto alla punta di acciaio soccorre a mettere in rilievo il chiaroscuro e conferisce vigore a quei dettagli del disegno che egli vuole mettere in risalto. In questa maniera e con l'uso di tré diversi mezzi d'incisione egli riesce a dare vigore e fuoco al soggetto trattato, ed evita, come accade troppo spesso con l'uso d'un solo tipo di bulino, che qualche parte dell'opera resti fredda ed accademica, tale da ghiacciare i sensi e lo spirito dell'osservatore.

Pierre Argillet